martedì 26 aprile 2011

Intervista su "Il Giullare"

Parlare di immigrazione oggi significa parlare di un movimentoepocale, determinato dalla speranza di interi popoli di lasciarsi allespalle sofferenze e miseria per raggiungere con ogni mezzo l’Occidentee l’Europa, dei quali si diffonde con la TV e internet un’immagineopulenta e di crescita. Immagine che, nel caso dell’Italia,appare ancor più stridente se confrontata con le difficoltà delle famiglie, con i giovani senza lavoro o costretti a una vita da precari,con città sempre più spesso teatro di piccola, ma diffusissimacriminalità, con imprese medie e piccole che chiudono oppuredelocalizzano all’estero. E allora, come il buon padre di famiglia si chiede quanti figli può mantenere, allo stesso modo oggi – senza ipocrisia, senza eccessi ideologici, senza forzature religiose dobbiamo chiederci quanti disperati, profughi, migranti, semplici mmigrati irregolari possiamo e potremo in prospettiva sostenere.
Ce la può fare il sistema Paese, la nostra comunità nazionale, a reggere il peso di centinaia di migliaia di disperati (e perché non milioni? E chi e con quali criteri potrebbe fare una selezione democratica?), pronti a tutto e con nulla da perdere, che già pochi giorni dopo essere sbarcati chiedono – se non pretendono - i loro diritti (casa, lavoro, da mangiare, cure mediche) senza mai domandare quali sono i relativi doveri? Senza mai porsi l’interrogativo di come stanno coloro che dovrebbero accoglierli? Senza una rigorosa

politica della responsabilità (sia in ambito interno che nei rapporti esterni, ed ogni riferimento alla Unione Europea è puramente voluto..) la questione è destinata a divenire, e per certi versi (vedi Lampedusa) è già ingovernabile; e, come tutti i fenomeni sociali non controllati, metabolizzati, giustamente distribuiti nel tempo e nello spazio, è destinata a creare forme di repulsione se non di reazione violenta. Innescando una possibile guerra fra poveri (per le case popolari, per la sanità pubblica, per i sussidi, per gli asili nido) che gli italiani – i quali, per cultura, per storia, per il vissuto della nostra Nazione hanno nel loro DNA la solidarietà, la disponibilità, la predisposizione ad accogliere – hanno sempre evitato.Ebbene, io come tanti altri padri di famiglia, mi aspetto quindi che lo Stato sappia coniugare la solidarietà con il rispetto della legge,l'accoglienza con la giustizia sociale, il diritto ad esprimere ogni orientamento religioso o politico con la tutela della nostra identità, quella che abbiamo costruito in centinaia di generazioni che idealmente si sono tramandate la nostra terra, la nostra economia,le nostre tradizioni spirituali e religiose. Preparandosi a superare le grandi prove che ci attendono e la crisi economico finanziaria che non passa – complice anche la crescita esponenziale di paesi quali Cina, India, Brasile, che poco o nulla fanno per rispettare l'ambiente e i diritti dei lavoratori – con una seria politica dei doveri lasciando ai soliti noti, agli intellettuali radical chic, ai finti moralizzatori (che spesso parlano al riparo delle loro ville blindate) la solita e urlata politica dei diritti a prescindere, che tanti guasti ha prodotto nella scuola, nell’università, nel mondo del lavoro e che oggi rischia di far male all’Italia ed anche a coloro che sulle nostre sponde cercano l’occasione per ridare dignità alla propria vita.

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